Le primissime espressioni fotografiche sono rintracciabili già nell'antica Grecia, Aristotele, infatti, fu tra i primi a servirsi della camera oscura per osservare le fasi dell'eclissi solare senza rimanere accecato.
In principio la camera oscura era una stanza buia con un foro su una delle pareti, dal quale entravano i raggi solari. Il fenomeno ottico generato era lo stesso: i raggi solari, entrando nel foro, proiettano sulla parete opposta l'immagine capovolta di ciò che sta all'esterno della stanza.
In principio la camera oscura era una stanza buia con un foro su una delle pareti, dal quale entravano i raggi solari. Il fenomeno ottico generato era lo stesso: i raggi solari, entrando nel foro, proiettano sulla parete opposta l'immagine capovolta di ciò che sta all'esterno della stanza.
Nel corso degli anni, la camera oscura non venne più utilizzata solo dagli scienziati, ma anche da artisti e pittori, poichè permetteva loro di avere un campione di riferimento per i loro dipinti.
Durante il Rinascimento si evolse tantissimo: Gerolamo Cardano, per ottenere un'immagine più nitida, appose davanti al foro della camera una lente convessa; Daniele Barbaro aggiunse anche un diaframma alla lente così da ottenere un'immagine ancora più precisa.
Nel Seicento si diffuse l'uso della camera obscura portabilis: una scatola con una lente da una parte ed uno schermo di vetro smerigliato dall'altra, in modo da riflettere l'immagine fuori dalla camera.
Nel 1685 lo scienziato Joanne Zahn realizzò la prima reflex(tuttora le nostre macchine fotografiche sfruttano questo principio): la camera oscura era costituita sempre da una scatola e da un foro, ma al suo interno di fronte al foro presentava uno specchio posto a 45°. In questo modo l'immagine veniva proiettata, e non capovolta, su un piano orizzontale posto sulla sommità della scatola stessa.
Durante il Rinascimento si evolse tantissimo: Gerolamo Cardano, per ottenere un'immagine più nitida, appose davanti al foro della camera una lente convessa; Daniele Barbaro aggiunse anche un diaframma alla lente così da ottenere un'immagine ancora più precisa.
Nel Seicento si diffuse l'uso della camera obscura portabilis: una scatola con una lente da una parte ed uno schermo di vetro smerigliato dall'altra, in modo da riflettere l'immagine fuori dalla camera.
Nel 1685 lo scienziato Joanne Zahn realizzò la prima reflex(tuttora le nostre macchine fotografiche sfruttano questo principio): la camera oscura era costituita sempre da una scatola e da un foro, ma al suo interno di fronte al foro presentava uno specchio posto a 45°. In questo modo l'immagine veniva proiettata, e non capovolta, su un piano orizzontale posto sulla sommità della scatola stessa.
Nel 1807 lo scienziato inglese William Hyde Wollaston introdusse la camera chiara o camera lucida: un foglio di carta poggiato su una tavoletta, sulla quale pendeva un prisma di vetro. Diffrangendo le immagini, il prisma consentiva di vedere contemporaneamente il soggetto da ritrarre e il foglio sul quale disegnarlo.
A questo punto è bene fare una precisazione, l'apparecchio fotografico non si limita ad essere solo uno strumento tecnico e meccanico, ma è soprattutto la realizzazione di una visione del mondo.
Non è un caso che cronologicamente coincidano l'uso della camera oscura da parte dei pittori rinascimentali e quella nuova visione razionale, ordinata, schematica e matematica introdotta da Brunelleschi con la prospettiva lineare e sviluppata poi da Leon Battista Alberti nel 1435 con il trattato De Pictura.
La macchina fotografica si basa sugli stessi principi: prospettiva, proporzioni, rapporti matematici e riproduzione fedele della realtà.
La sudditanza della fotografia alla pittura riguarda però solo un primo e inevitabile periodo della storia della fotografia, quello cioè ottocentesco. Passati al nuovo secolo, la fotografia non potrà più essere letta solo come uno pseudo-quadro poichè evolverà il suo legame con il contingente, sposando categorie extra-percettive come la memoria, il tempo, il mantenimento, ecc.
Non è un caso che cronologicamente coincidano l'uso della camera oscura da parte dei pittori rinascimentali e quella nuova visione razionale, ordinata, schematica e matematica introdotta da Brunelleschi con la prospettiva lineare e sviluppata poi da Leon Battista Alberti nel 1435 con il trattato De Pictura.
La macchina fotografica si basa sugli stessi principi: prospettiva, proporzioni, rapporti matematici e riproduzione fedele della realtà.
La sudditanza della fotografia alla pittura riguarda però solo un primo e inevitabile periodo della storia della fotografia, quello cioè ottocentesco. Passati al nuovo secolo, la fotografia non potrà più essere letta solo come uno pseudo-quadro poichè evolverà il suo legame con il contingente, sposando categorie extra-percettive come la memoria, il tempo, il mantenimento, ecc.
Dopo l'invenzione della camera oscura reflex, ciò che mancava alla nascita della fotografia erano le sostanze fotosensibili e stabilizzanti.
Si deve a Joseph-Nicéphore Niépce il compimento di questo passo successivo. Iniziò la sua ricerca sperimentando la reazione alla luce e la sensibilità di diverse sostanze chimiche e di diversi supporti: carta, pietra, vetro, metallo, acido nitrico e cloruro d'argento.
Ma fu grazie al bitume di Giudea, una resina fotosensibile, e alle lastre di stagno che riuscì a realizzare numerose immagini, dette fotoincisioni, la prima delle quali fu il ritratto del Cardinale d'Amboise nel 1826.
Per ottenerle, rivestì una lastra di peltro e rame con il bitume di Giudea, poi la mise a contatto con una litografia o un'incisione resa precedentemente trasparente con olio e cera, infine espose tutto alla luce. La luce oltrepassando le parti trasparenti induriva il bitume sottostante, mentre le parti coperte dall'inchiostro bloccavano il passaggio della luce, lasciando il bitume inalterato.
Dopo l'esposizione, la lastra veniva lavata con olio di lavanda che scioglieva il bitume non indurito e poi intagliata, inchiostrata e stampata come una vera incisione litografica.
Le fotoincisioni erano, quindi, ancora delle immagini ottenute per incisione.
La ricerca di Niépce non finisce qui, infatti, a lui si deve, nel 1826-'27, la realizzazione della prima immagine fotografica della storia: Veduta da una finestra della casa di Gras.
Non fece altro che applicare le proprietà fotosensibili del bitume di Giudea all'interno della camera oscura. E' un'immagine positiva diretta, cioè una copia unica e non riproducibile, incisa su una lastra di peltro. Le ombre e le luci sono costituite dall'alternanza del bitume e del metallo.
L'esposizione era molto lunga, 8 ore circa, quindi i risultati non erano precisi poichè il sole ruotando spostava la posizione delle ombre, dei riflessi della luce e alterava i volumi.
Si deve a Joseph-Nicéphore Niépce il compimento di questo passo successivo. Iniziò la sua ricerca sperimentando la reazione alla luce e la sensibilità di diverse sostanze chimiche e di diversi supporti: carta, pietra, vetro, metallo, acido nitrico e cloruro d'argento.
Ma fu grazie al bitume di Giudea, una resina fotosensibile, e alle lastre di stagno che riuscì a realizzare numerose immagini, dette fotoincisioni, la prima delle quali fu il ritratto del Cardinale d'Amboise nel 1826.
Per ottenerle, rivestì una lastra di peltro e rame con il bitume di Giudea, poi la mise a contatto con una litografia o un'incisione resa precedentemente trasparente con olio e cera, infine espose tutto alla luce. La luce oltrepassando le parti trasparenti induriva il bitume sottostante, mentre le parti coperte dall'inchiostro bloccavano il passaggio della luce, lasciando il bitume inalterato.
Dopo l'esposizione, la lastra veniva lavata con olio di lavanda che scioglieva il bitume non indurito e poi intagliata, inchiostrata e stampata come una vera incisione litografica.
Le fotoincisioni erano, quindi, ancora delle immagini ottenute per incisione.
La ricerca di Niépce non finisce qui, infatti, a lui si deve, nel 1826-'27, la realizzazione della prima immagine fotografica della storia: Veduta da una finestra della casa di Gras.
Non fece altro che applicare le proprietà fotosensibili del bitume di Giudea all'interno della camera oscura. E' un'immagine positiva diretta, cioè una copia unica e non riproducibile, incisa su una lastra di peltro. Le ombre e le luci sono costituite dall'alternanza del bitume e del metallo.
L'esposizione era molto lunga, 8 ore circa, quindi i risultati non erano precisi poichè il sole ruotando spostava la posizione delle ombre, dei riflessi della luce e alterava i volumi.
La scoperta che ho fatta, e che indico col nome di eliografia, consiste nel riprodurre spontaneamente, mediante l'azione della luce colle digradazioni di tinte dal nero al bianco, le immagini ricevute nella camera oscura.
La camera oscura è una specie di occhio artificiale, una semplice piccola scatola, di circa 15 centimetri quadri per faccia.
Niépce
Molto interessanti sono le parole usate da Niépce, in particolar modo il termine "spontaneamente" della prima citazione, preannuncia quasi quel carattere di meccanicità e automaticità tipiche della fotografia contemporanea.
L'altro è "occhio artificiale", termine quasi profetico di tutte le teorie di McLuhan, infatti sembra intendere già i media come delle protesi (potenziatrici) del nostro corpo e dei nostri sensi.
Presso gli ottici parigini Chevalier, Niépce incontrò Daguerre con il quale entrò in società nel 1829.
Daguerre era un pittore, scenografo e proprietario di un diorama, uno spettacolo in cui il pubblico viveva esperienze d'illusionismo grazie agli effetti ottici generati dalla luce proiettata su teli e fondali. I fondali era spesso dei quadri realizzati servendosi della camera oscura, per questo motivo Daguerre era molto interessato a conoscere le scoperte di Niépce.
Nel 1833 Niépce morì, non riuscendo a godere dei meriti per la scoperta della fotografia che invece di lì a poco si prese Daguerre.
Per scoprire come e quando è ufficialmente nata la fotografia vai al prossimo post.
Fonti:
F. Muzzarelli, Le origini contemporanee della fotografia, Editrice Quinlan, Bologna, 2007
L'altro è "occhio artificiale", termine quasi profetico di tutte le teorie di McLuhan, infatti sembra intendere già i media come delle protesi (potenziatrici) del nostro corpo e dei nostri sensi.
Presso gli ottici parigini Chevalier, Niépce incontrò Daguerre con il quale entrò in società nel 1829.
Daguerre era un pittore, scenografo e proprietario di un diorama, uno spettacolo in cui il pubblico viveva esperienze d'illusionismo grazie agli effetti ottici generati dalla luce proiettata su teli e fondali. I fondali era spesso dei quadri realizzati servendosi della camera oscura, per questo motivo Daguerre era molto interessato a conoscere le scoperte di Niépce.
Nel 1833 Niépce morì, non riuscendo a godere dei meriti per la scoperta della fotografia che invece di lì a poco si prese Daguerre.
Per scoprire come e quando è ufficialmente nata la fotografia vai al prossimo post.
Fonti:
F. Muzzarelli, Le origini contemporanee della fotografia, Editrice Quinlan, Bologna, 2007